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Canadese bolognese, indie rocker cosmopolita e musicista a 360 gradi, ha inciso Vicious a Detroit con gli amici di una vita. Jonathan Clancy aka His Clancyness ci parla di stile, arte intorno alla musica, della dimensione onirica dell’ album e di un’ aquila che vola alta sui parchi dello Utah.

DW: Ciao Jonathan, come te la passi? Vi aspetta un febbraio esplosivo.

JC: Si dopo tre settimane passate in casa, si torna in pista, va bene così, per noi suonare è fondamentale. Non vedo l’ora di fare questo giro in Europa e continuare a suonare in Italia.

DW: Parliamo di Vicious. Premettiamo che il termine è un po’ un falso amico e significa principalmente feroce, aggressivo o maligno. Il dizionario inglese lo definisce come “deliberately cruel or violent” e anche, se detto di animale, come “wild and dangerous to people”. Come è nato il titolo per l’ album?

JC: Intanto hai azzeccato assolutamente la traduzione! Ci sono molti modi di tradurre VICIOUS, il mio è FEROCE. Il titolo mi è venuto in mente mentra stavamo registrando il disco a Detroit. C’erano delle cose di cui ero sicuro, volevo una parola singola e che avesse un bell’aspetto visivo, dovevo potermela immaginare scritta su un muro, come un graffito. Vicious mi è venuto in mente perchè tutti i testi erano cattivi rispetto alle cose che avevo scritto in passato, è una parola secondo me visivamente bella e perchè aveva quel rimando diretto al mondo glam che in qualche modo sentivo nelle canzoni che stavamo registrando.

DW: Viene in mente anche Lou Reed, anche se ho la sensazione di non essere il primo a dirtelo. Trattasi di coincidenza o citazione? Il 2013 è stato un anno che ce lo ricorda. Come hai preso la notizia?

JC: Ci sono rimasto di sasso, stavamo tornando da un concerto. Ormai siamo abituati che quando muore un “grande” c’è questa sorte di processione senza senso sui social network. Ecco in quel caso non ho resistito neanche io. Detta banalmente, è stata veramente una certezza che si sgretola.

DW: Lou era celebre per essere feroce e spietato soprattutto con i giornalisti che tentavano di intervistarlo… Su questo puoi dissociarti ovviamente!

JC: Lou se lo poteva permettere ha ha.

DW: E i giornalisti spesso se lo meritavano. Dove eri e cosa facevi quando hai scritto l’ album? Raccontaci qualche aneddoto interessante.

JC: Il disco è stato scritto tra aprile e luglio. L’ho iniziato il giorno dopo essere stato 7 settimane in tour con la mia altra band A Classic Education. Siamo tornati dagli Stati Uniti e avevo tutte queste immagini in testa, non ho disfatto la valigia ed in un giorno ho scritto e registrato Hunting Men. Eravamo appena stati nei canyon e nei parchi dello Utah e secondo me ho preso da lì. La canzone è scritta dal punto di vista di un’aquila che guarda in basso e giudica.

DW: Ti alzavi presto la mattina? Meditavi? Con cosa facevi colazione? Con qualche buon consiglio potremmo trovarci con più album del genere ed evitare… Che ne so… X‐factor.

JC: Si sono abituato ad alzarmi abbastanza presto, non meditavo, bevevo una spremuta e poi mi sedevo con la chitarra acustica. Di solito se nel corso di poche ore una canzone non mi convince la abbandono completamente.

DW: Il video di uno dei pezzi dell’ album, Zenith Diamond, si apre con te appoggiato ad una Micra che, rivolgendoti allo spettatore (con un accento che ti invidio), dici: “Rock ‘n’ roll is about dreams”.
Cosa intendi parlando di sogni?

JC: Mah era una reazione un po’ a come viene vissuta la musica adesso. Per me la musica non deve sempre essere solo slogan o realtà. Deve essere anche un rifugio, un posto dove poter sognare, dove poter vivere cose che non vivi nella vita reale. Dove poter sognare di essere una persona diversa.

DW: Il sogno più rock ‘n’ roll che ti ricordi.

JC: Essere in tour con Iggy Pop.

DW: Detroit rock city è dove avete registrato. In un’ intervista ho letto che dici che è un peccato che gli studi italiani vengano usati per le cover band, quando nelle decadi passate c’ era ben altro da registrare. Perché allora per del buon materiale come Vicious ve ne siete andati fin negli States? Vi ci ha portato Chris?

JC: Giusto per chiarire, in quella intervista dicevo che in Italia ci sono degli studi pazzeschi, materiale incredibile, soltanto che molti studi per campare non possono sempre registrare band fighe e quindi devono prendere dentro cover band o cose un po’ così. Siamo andati a Detroit perchè pensavo che Chris Koltay potesse essere la persona giusta per noi ed in più lo studio non costava tanto e aveva tutta la strumentazione che ci serviva.

DW: Quanto è importante un buon produttore e quanto lo è stato invece aver arrangiato tutto tu per questo album? (Mi sembra di capire sia andata più o meno così, correggimi se sbaglio).

JC: Non ti sbagli. Per me è importante soprattutto una persona che sappia mettere a proprio agio la band. Chris è stato così. Serve soprattutto una persona che sappia capire il gruppo, ogni band ha dinamiche diverse. Nel nostro caso se non avessimo avuto tutto arrangiato perfetto prima di andare in studio non saremmo riusciti a fare il disco. Non c’era fisicamente abbastanza tempo sennò.

DW: Scrivi a FatCat records (Animal Collective, Sigur Rós  ecc…) e non ti rispondono. Poi uno stagista ha risolto tutto?

JC: Si a Londra ad un nostro concerto è capitato a vederci questo stagista e da lì è nato tutto. Ancora adesso una storia che mi fa veramente sorridere. Quasi non ci credo ancora.

DW: Vedi che gli stage servono a qualcosa. (Mi auto incito per tenere il morale alto).

JC: Assolutamente :)

DW: Qual è la migliore band italiana in questo momento? E su quali generi andiamo più forte secondo te.

JC: Domandona difficilissima. Mi piace tantissimo il percorso negli anni che hanno fatto i Father Murphy. Forse andiamo più forte proprio nei generi più di nicchia, noise, elettronica, musica avant, hardcore, è lì che forse vengono fatte le cose meno derivative. Mi riferisco a tutto il mondo di Hundebiss, Holiday Records, Avant!, non penso sia un caso che molte delle band che girano di più fuori provengano da quel mondo Zu, Zeus, Movie Star Junkies, Ovo e tante altre. Sono orgoglioso negli ultimi anni anche di un certo giro di amici che piano piano si stanno facendo sentire in ambito più rock pop, penso a Brothers In Law, Be Forest, Wolther Goes Stranger, Welcome Back Sailors, Schonwald, Soviet Soviet, Karibean, Drink To Me, Husband.

DW: Qual è la principale differenza tra cantare in italiano e in inglese?

JC: Non so, io il problema non me lo sono mai posto. Ho solo cantato una canzone in italiano per una compilation tributo agli ALTRO, e per me è stato difficilissimo perchè non ero abituato. Però sono contento del risultato. Secondo me semplicemente bisogna cantare nella lingua in cui ti senti più a tuo agio, in cui ti senti libero di poter dire la tua.

DW: Perché in Italia abbiamo l’ ossessione dell’ affermazione artistica oltre confine? Cosa in parte dimostrata dalle mie domande ossessive, sarò sincero.

JC: Perchè suoniamo in un mondo avaro di soddisfazioni ah ah.

DW: Ti svegli domani, sbadigli e trovi una vecchia lampada impolverata sotto al letto. La strofini e il genio che appare ti lascia esprimere 3 desideri per l’ industria discografica e il panorama musicale italiano.

JC: – Che arrivi una etichetta italiana con una visione fortissima e diventi un punto di riferimento mondiale per la musica indipendente.

– Che le riviste italiane abbiano il coraggio di sbattere in copertina… Chennesò gli His Electro Blue Voice.

– Che Sanremo e posti simili smettano di essere oggetto di discussione quando si parla di musica interessante.

DW: Guy Bourdin, Bowie, gli artwork e le tue camicie pazzesche. Parliamo di stile intorno alla musica. E di dove le compri.

JC: Ha ha, ai mercatini, spesso in tour, budget sempre sotto ai 5 euro. Per il resto ovvero le cose molto più importanti come artwork e tutto… Beh per me è naturale cercare di avere una cura pazzesca per le proprie cose. Cercare di creare un immaginario penso sia il minimo che si possa fare.

DW: Chi ne aveva o ne ha? E a chi dovrebbe prestarne un po’ secondo te? (Non di camicie ma di stile). Anche musicalmente parlando. Puoi essere spietato.

JC: Mi piace tantissimo il viaggio di Dirty Beaches. Le visioni, il mondo che continua a cambiare ad ogni album. L’ultimo doppio è incredibile. Poi la mia icona di stile, ma soprattutto di arte è Meghan Remy aka U.S. Girls. Adoro tutte le cose che fa, per fortuna adesso è compagna di etichetta, incide per FatCat. Mi piace tantissimo come fa di tutto per portare arte nella sua musica.

DW: Come ascolti musica? Mp3, cd, vinili o spotify?

JC: Soprattutto vinili o mp3, anche spotify ultimamente. I CD non li uso più, è un formato che non amo molto e sono preoccupatissimo dei miei 1000 cd in casa impolverati.

DW: Benone. Non ho ancora avuto il piacere di sentirvi live e per sfiga mi perderò le vostre prossime date a Milano perché mi trasferisco a Monaco. Per mia fortuna però suonate proprio lì tra un paio di settimane, quindi che dire… Danke schon e a presto Clancy!

JC: Ci vediamo a Monaco e grazie dell’intervista.