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Poco prima della loro eccezionale performance all’AMA Music Festival di Asolo (unica data italiana), abbiamo avuto la possibilità di scambiare quattro chiacchiere di persona con i Foals. Da Antidotes all’ultimo What Went Down, passando per il capolavoro Total Life Forever e Holy Fire, una carriera che è cresciuta gradualmente, portandoli a diventare una delle band UK di riferimento degli ultimi anni.
Passeggiamo nel backstage del festival, salutiamo Yannis che cammina nervosamente avanti e indietro ed entriamo nel camerino della band, dove ci aspetta il chitarrista Jimmy Smith, tranquillo ed amabile come non ci si aspetterebbe da una persona che tra qualche giorno salirà sul palco del Reading Festival come headliner.

Vorrei partire dall’inizio: da Antidotes a Total Life Forever il cambio di stile è stato graduale, ma ha subito un’impennata con Holy Fire e successivamente What Went Down, due album abbastanza simili tra loro. È giunto il momento di fare un altro grande salto e sperimentare qualcosa di nuovo con il quinto album? I rumor dicono che a novembre tornerete immediatamente in studio…

In realtà non sarà così. Non abbiamo ancora una data precisa, a dicembre finiremo il tour e ci prenderemo sei mesi di pausa in cui non faremo assolutamente nulla. Dato che ci prenderemo questo periodo di pausa credo che il quinto album sarà decisamente diverso dagli ultimi: Holy Fire e What Went Down, come hai detto tu, sono molto simili, sono come il lato A e il lato B di un’idea, ma quel suono ha esaurito il suo scopo. L’unica cosa che sappiamo è che il prossimo album suonerà diverso.

I Foals di Antidotes suonano completamente diversi dai Foals di adesso. Quali sono le vostre sensazioni quando ascoltate i vostri vecchi brani e quando li suonate dal vivo?

Suonare quei brani dal vivo non è strano, dato che li abbiamo sempre tenuti nelle scalette e li portiamo con noi in ogni tour. Ascoltarli su disco invece è folle. Non ci riascoltiamo molto spesso, perché quando finiamo di registrare un album siamo quasi nauseati da quei brani provati per mesi e mesi. Qualche giorno fa ero sul tour bus e ho provato ad ascoltare qualche canzone da ogni album, giusto per ricordarmi come suonavano, e quando ho ascoltato Antidotes è stato “WOW!”. Mi sono affiorati un sacco  di ricordi, le session di registrazione a New York… È il disco di debutto di una giovane band, quindi suona davvero strano riascoltarlo adesso.

Jack e Yannis (Bevan e Philippakis, batterista e cantante, ndr) iniziarono a suonare insieme negli Edmund Fitzgerald, e suonavano una specie di math rock che poi sarebbe diventato il punto di partenza dei primi Foals. Anche in Total Life Forever c’è molto math, soprattutto in This Orient che è stata realizzata seguendo strani calcoli matematici e disegni…

(mi interrompe, ndr) Chiamavamo quel metodo “human sequence… sequenceiser“… Oddio, questa parola nemmeno esiste! In pratica era una sequenza di voci umane, con queste persone che cantano cose differenti e che suona come un arpeggiatore. E sì, seguivamo dei grafici per comporre il brano, è stato un processo piuttosto lungo. Ma ti ho interrotto, scusa!

Beh, in realtà volevo proprio sapere se usate ancora tecniche come queste per comporre i vostri brani.

Assolutamente. La parte math è sempre presente nel dna dei Foals, il modo in cui le note si devono legare tra loro. È abbastanza facile anche da comporre e suonare in realtà, anche se magari dall’esterno non sembra, ma giuro che è così! È qualcosa che potresti anche disegnare su un pezzo di carta volendo, come in uno schema o una tabella. In realtà parliamo spesso di questa cosa, di come vorremmo tornare a recuperare alcune idee che avevamo in passato, recuperare quello stile anche nei nostri album, una specie di mix tra il suono di Antidotes e quello pieno e ruvido di adesso. Credo che le nostre chitarre adesso siano un po’ troppo heavy ed epiche, vorremmo tornare a fare cose un po’ più semplici.

Per i primi due album avevate composto un sacco di b-sides, penso ad esempio a Gold Gold Gold, Wear & Tear e The Chronic, ma negli ultimi tempi sono state spesso sostituite da remix o da semplici radio edit dei brani. Cosa è cambiato da questo punto di vista?

È frustrante, perché penso che una b-side dovrebbe essere una canzone della band, non un remix. Alla fine le b-sides sono brani che non ce l’hanno fatta ad arrivare sull’album, ma per What Went Down ci siamo trovati nella situazione di non avere b-sides! Tutti i brani completati sono stati pubblicati, mentre gli altri su cui stavamo lavorando sono semplicemente rimasti incompleti. Lo ripeto, è frustrante. Ai tempi di Antidotes e Total Life Forever, i tempi di Gold Gold Gold e The Chronic, finiti i dischi ci chiudevamo una settimana in studio per lavorare sulle b-sides, e sperimentavamo il più possibile. Era come registrare un altro album, ma senza produttore.

Spesso nelle b-sides si sente la voglia di sperimentazione delle band infatti.

Esatto, e vogliamo davvero tornare a farlo di nuovo. Era davvero interessante.

Siete tra le band inglesi più considerate al mondo, conosciuti sia per i vostri album che per i vostri live. Ormai riempite le arene, tra qualche giorno sarete headliner a Reading… Com’è stato però passare da band che suona agli house party a band da grandi festival? È cambiato qualcosa anche in voi?

È stato graduale, per fortuna. Al giorno d’oggi ci sono alcune band che pubblicano un album e BAM!, diventano subito band da grandi numeri. A loro succede di passare dagli house party alle grandi arene in un anno, a noi ci è voluto un po’ più di tempo. Quando a inizio 2016 abbiamo suonato in questi posti enormi in UK ci è sembrato strano, davvero strano. Dopo due concerti però il pensiero era “non è più così male, possiamo farcela“, quindi dopo dieci anni di concerti, e dopo aver suonato in ogni tipo di venue possibile, non ci sembra qualcosa di particolare. È stato un passaggio graduale e per certi versi anche naturale, non forzato.

A proposito di concerti… I vostri tour sono lunghissimi, e voi siete anche amici oltre che compagni di band. Come riuscite a tenere insieme la vostra amicizia dopo così tanti anni, passando insieme così tante ore ogni giorno?

Woah, bella domanda. Più andiamo avanti e più è difficile, questo è sicuro. Li considero tutti miei amici, ma in un certo senso è come se fossero miei fratelli, come se i Foals fossero una grande famiglia. E in una famiglia se ci sono attimi di tensione devi per forza scendere a compromessi e risolvere i problemi. Immagina di girare per il mondo dieci anni insieme al tuo migliore amico: arriverà sicuramente il momento in cui litigherete, in cui avrete delle divergenze o delle discussioni. Succede anche a noi, ma alla fine si risolve tutto. Quello che facciamo con la band è eccezionale, e non avrebbe senso rovinare tutto per una litigata.

Da qualche anno la stampa generalista tende a considerare la musica rock in crisi, ma i Foals sono sicuramente una delle eccezioni. Vi sentite dei “sopravvissuti” in questo senso, oppure credete che qualcosa si stia muovendo in ambito underground?

Sicuramente ci sentiamo dei sopravvissuti. La gente spesso dice che la guitar music è morta, ma io e te sappiamo benissimo che non è così. Ci piace pensare che là fuori, da qualche parte, ci siano “i prossimi Foals”. Magari sono quindicenni, sono giovani e affamati e vogliono distruggerci e prendere il nostro posto (ride di gusto, ndr). La realtà è che da qualche anno manca un vero e proprio movimento nella musica rock, e forse è il motivo per cui siamo riusciti ad arrivare dove siamo ora, perché nessuno ci sta sfidando o sta mettendo a rischio la nostra posizione. Ed è una cosa strana perché non abbiamo fatto nulla per arrivare fin qui, abbiamo solo continuato a fare la nostra cosa lentamente…

E ora siete gli headliner del Reading Festival.

Esatto! Ed è stranissimo, perché se ci penso è una cosa totalmente fuori di testa! È anche vero che comunque non c’è nessun altro là fuori, le band con cui siamo cresciuti, con cui suonavamo assieme, si sono tutte sciolte. Quindi sì, ci sentiamo decisamente dei sopravvissuti. Sono tempi strani.

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Yannis sempre tranquillo, anche ad Asolo – GIF by Gabriele Sergi

C’è stata una piccola polemica recentemente, in cui accusavate i maggiori festival di andare sempre sul sicuro con gli headliner, di chiamare sempre gli stessi. Chi sarebbe un perfetto headliner per voi?

I Radiohead! Probabilmente sono il miglior headliner possibile per un festival. Il miglior headliner di tutti i tempi. Forse anche i Led Zeppelin, i Fugazi o Simon & Garfunkel, però al giorno d’oggi si preferisce puntare sui nomi sicuri, no? È per questo che in ogni festival troverai i Pixies, perché la gente vuole ascoltare Hey, vuole ascoltare Where Is My Mind?, ed è quello che avranno. Non c’è il coraggio di puntare su headliner giovani, anche noi Foals siamo un po’ una scommessa, secondo me. Comunque i Radiohead rimangono l’unica band capace di essere abbastanza grande per un festival, riuscendo comunque a farti concentrare al 100% sul concerto: non sai se li rivedrai, ogni live è diverso dall’altro, e quindi è una sfida tra loro e l’ascoltatore, si tratta di qualcosa a cui ti devi preparare, e che può decisamente cambiarti.

Cambiando discorso, quali sono i tuoi album preferiti del 2016?

Oddio, ho una pessima memoria, aspetta…

Puoi rispondere Radiohead.

A Moon Shaped Pool, certamente! Poi anche l’ultimo album dei Thee Oh Sees, uscito recentemente. A Weird Exits! Strano, davvero strano, ma ottimo. E poi c’è questo album di questi ragazzi americani, i Twin Peaks. Me l’ha passato una nostra amica fotografa, Pooneh Ghana, che li conosce molto bene. Sembrano i Black Lips senza la patina garage, mi piacciono molto.

Vorrei chiudere questa intervista con un tema che so esservi molto caro: la Brexit. Quando ha vinto il “leave”, anche qui in Italia la reazione è stata di puro sgomento. Voi e altre band vi siete schierati fin da subito prepotentemente a favore del remain, così come l’intero mondo della musica. Cosa comporterà questo voto, secondo voi, per la musica inglese?

È stata una situazione surreale. Eravamo nel tour bus quella notte, durante il tour in Irlanda, e quando sono andato a dormire ero contento perché stava vincendo il “remain”. Quando la mattina dopo ho scoperto che il risultato si era ribaltato non ci volevo credere, ed è stata la prima volta che ho pianto dopo moltissimi anni. Per band come la nostra non cambierà un granché, perché per fortuna guadagniamo abbastanza da poterci permettere i visti e le spese che saranno necessarie per girare l’Europa. Le band più giovani invece avranno le gambe tagliate, non potranno girare l’Europa a meno di sacrifici economici davvero pesanti, ed è un dramma. Magari questo toglierà di mezzo tutte le band che non sarebbero disposte a tutto per la loro musica, magari ci lascerà solo band convinte al 100% di quello che stanno facendo, ma comunque la si veda rimane qualcosa di tragico.