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Dopo il disco per l’ Italia che è il meno italiano possibile, tra pezzi registrati in giro per l’ Europa, voci registrate con l’ iphone e un paio di membri persi per strada: I torinesi Did, sempre un pò dance, molto pop e con qualcosa da dire su come si stava meglio quando la musica veniva condivisa in modo diverso.
Bad Boys è il titolo di questo loro secondo album, e questa l’ intervista dei cervi ai ragazzi cattivi.

DW: Ciao. La domanda non è legata al titolo dell’album. Perchè avete questa reputazione dei cattivi ragazzi? Cosa fate quando non suonate o lavorate?

G: Dovresti più che altro chiederlo a chi ci ha etichettato così negli anni, credo sia più che altro collegato alle nostre esibizioni live che sono sempre state un pochino violente. Il culmine fu un live all’Ypsigrock, lo scorso anno, in cui distruggemmo una batteria, a parte una decina di persone nessuno la prese particolarmente bene. Per noi non c’è stato mai nulla di male, non abbiamo mai capito quale fosse il problema, secondo noi sul palco vale tutto. Per risponderti alla seconda domanda guarda, quando non lavoriamo e non suoniamo, che poi è una combinazione di fattori molto rara, ci annoiamo, mangiamo bene e guardiamo il calcio.

A: Esatto, probabilmente per questo approccio qui nei live i “moralisti” italiani, stile Gattopardo, hanno sempre qualcosa da ridire. Se avessero visto gli Who dal vivo 50 anni fa (lungi da me a fare paragoni musicali con loro), come avrebbero reagito? Per il resto, nel tempo libero guardiamo film, leggiamo libri, beviamo birrette e andiamo ai concerti.

G: Ma non è vero che vai ai concerti, almeno a quelli che organizzo io non ci vieni.

A: Uomo non ho soldi, abbassa i prezzi!

G: Va be’.

DW: Che lavoro fate?

G: Andrea è un fisico ricercatore, sta facendo uno studio sulle basse frequenze, su come si propagano negli ambienti, io invece sono uno dei fondatori dell’ASTORIA, una venue torinese.

A: Come direbbe Guido, lui gestisce l’Astoria, uno dei migliori club di Torino a San Salvario, io smando le basse in un laboratorio sotto terra.

DW: Un pezzo come “You Read Me”, mi sembra come quando hai un po’ di cose diverse nel frigo, decidi di metterle tutte dentro al frullatore, premi play, aggiungi un po’ di vodka e scopri che in effetti stavano bene insieme e ti sbronzi sul divano contento del risultato. (Nel senso che ci sono cose dentro che sembrano dissonanti ma che avete impastato molto bene).

G: Personalmente detesto mischiare differenti basi alcoliche tra di loro ma sono felice che il risultato ti piaccia.

A: Cin Cin.

DW: Mi pare di capire che abbiate iniziato proprio con “Skills” e “You Read Me” e che il resto sia venuto in seguito. Siete andati in Sicilia apposta per scrivere l’album?

G: No, eravamo in tour e ne abbiamo approfittato. Col tempo abbiamo imparato a sfruttare al 200 % il tempo che passiamo insieme, quindi ogni situazione è buona per scrivere. Ricollegandomi a quello che dicevi prima, a proposito dei pezzi, a me sembrano molto lineari e coerenti, non li definirei dei mischioni pazzi, se vuoi ti mando i provini di roba che abbiamo buttato via che veramente sembra non avere nè capo nè coda, poi “You Read Me” ti suona come Beyoncè.

A: I pezzi sono venuti fuori nell’arco di tre anni. Alcuni riaperti e riarrangiati nel tempo, altri lasciati così com’erano nei provini. Ogni traccia ha una storia a sè.

DW: Sarà il mare o le schitarrate che se ne vanno, c’è meno punk e più elettro, i ritmi a tratti tribali, l’esotismo e i tamburi qua e là. E giù di marimba in “I Belong To You”. Con Bad Boys suonate meno cattivi e musicalmente più maturi.

G: Se rileggi attentamente ti accorgerai che questa non è una domanda, più che altro un’affermazione con cui non posso che essere d’accordo. Sul primo disco eravamo piuttosto acerbi, ora siamo maturati, speriamo di non marcire nel breve periodo.

A: La risposta giusta è che invecchiare paga, sempre.

DW: Ne esce un pop sporcato da mille sonorità. Quali sono state le influenze più forti per questo album?

G: Io personalmente vado di fuori per tutta la musica pop contemporanea. E la cosa che mi affascina è il pensiero di riuscire ad approcciarmi a tutto questo senza le grandi produzioni, al contrario, scrivendo e registrando in maniera molto lo-fi. Sono convinto che possano succedere delle cose straordinarie.

A: Io amo il pop, nel senso ampio del termine. Penso sia il genere più versatile di tutti, emotivamente e musicalmente parlando. Quando ascolti qualsiasi altro genere, il mood che viene fuori è sempre lo stesso (vedi per esempio la classica, il jazz, etc.), o almeno è quello che succede a me. Col pop puoi spaziare su un ventaglio di stati d’animo differenti e con maggiori sfumature dell’inconscio. Tutto ciò è incredibile. Per quello la maggior parte della gente lo ascolta. Trovi sempre il pezzo che ti rappresenta in un determinato momento.

DW: Interludi con pezzi di film di Woody Allen e una track che si chiama “Mastroianni Keep It Real”. Chi è il cinefilo tra i due?

G: Andrea!

A: Woody Allen è un genio assoluto e Mastroianni uno dei miei attori preferiti e che ha fatto la storia del cinema italiano, anche se ultimamente sono in una fase di ripudio delle icone cinematografiche anni ’60.

DW: Di preciso cosa avete contro Shazam?

G: La percezione che abbiamo nella musica oggi è profondamente cambiata rispetto a quella che potevano avere per esempio i nostri genitori, questo vale in generale, una volta se avevi un disco ce l’avevi solo tu. Se qualcuno se lo voleva sentire e ‘sto disco era sold out non poteva fare altro che venire a casa tua e lo ascoltavate insieme. Comunque, senza andare a parare in ere geologiche proprio diverse, per quanto mi riguarda Shazam è la goccia che fa traboccare il vaso. Io mi considero un cultore a livello musicale, il fatto che io sappia cos’è un disco e tu no è una cosa fottutamente seria, per anni è ciò che mi ha fatto andare avanti, ora arriva questa cazzo di app a rovinare tutto. Lo dico a costo di sembrare patetico, ma so che un sacco di gente è con me in questa battaglia. SHAZAM è il male.

A: Rimpiago i tempi in cui passavo le serate con Guido e altri amici al liceo ad ascoltare musica nuova proposta da ognuno di noi. E c’era uno scambio e un’interazione tra le persone. Il punto è che ora con Facebook e Shazam, tutto questo è morto. Non c’è più una reale condivisione.

DW: Parlando di cose serie. Perchè dici che ci sono problemi a fare musica in Italia?

G: No, non hai capito. Il problema di Shazam è una cosa MOLTO seria. Va bene parliamo di cose di gran lunga meno serie, i problemi della musica in Italia, la domanda è piuttosto aperta e potremmo davvero parlarne per ore. Facciamo così, invece di dirti quello che non va (che facciamo notte) ti dico quello che va secondo me, ci mettiamo meno: Vaghe Stelle, Italo Italians, Club To Club Festival, Fabio Nirta, His Clancyness, gli M+A, Il Bronson, Davide De Munari e Movement (Padova), il MiAmi, One Circle, Hundebiss Records, Il Circolo Degli Artisti, Discipline, Ypsigrock. Boh basta. Ah no anche Deerwaves!

A: Perchè manca la cultura musicale qua in Italia, come, as esempio, in Inghilterra manca la cultura del cibo o in Francia la cultura dell’igiene personale. È la stessa cosa.

DW: L’autotune lo usate perchè lo usa anche Snoopzilla?

G: Lo usiamo perché se vuoi fare musica pop come dicevamo prima, fare le voci intonate è un ottimo punto di partenza. In generale ti assicuro che abbiamo smesso di fare delle cose perché qualcun’altro le fa già.

A: Snoopzilla? Piuttosto perchè lo usano gli Eiffel 65. Lol.

DW: Invece il rapporto con i Breton come è nato?

G: Ancora prima che cominciassero la loro carriera musicale, quando erano solo videomakers, ci girarono il video di “Hello Hello”. Poi noi gli organizzammo il loro primo concerto fuori da Londra, al Velvet di Torino (per la cronaca fu SOLD OUT, 43 paganti, lol). Da allora siamo fratelli del cuore e non vedevamo l’ora di fare degli show assieme come avverrà a Febbraio.

A: Guido ha risposto esaustivamente, io aggiungo un <3.

DW: Classica domandona finale. Progetti per il futuro?

G: Per ora pensiamo a fare i concerti in giro poi si vedrà.

A: Continuare coi concerti e sperare di non impiegare altri 4 anni per un nuovo album.