Futura non vi porta solo ai festival ma anche ad eventi unici, come durante questa serata all’Estragon di Bologna, dove Francesco Motta, a distanza di due anni dal suo ultimo disco (La fine dei vent’anni), ha presentato il suo nuovo – potentissimo – progetto: Vivere o Morire.
Uno struggimento controllato, un racconto lucido e appassionato che si costruisce pezzo dopo pezzo, riversandosi dal disco in tutto il suo live, potente e al tempo stesso incredibilmente accurato.
Dopo averlo intervistato in radio siamo andate a trovare i ragazzi di Woodworm e Francesco Motta al suo concerto: questo è quello che ci ha raccontato.

Innanzitutto: cosa c’è di vecchio in questo album e cosa c’è di totalmente nuovo di te?

Ammazza! Cosa c’è di vecchio… intendi quello che non sono più?

Si, siamo un po’ marzulliani, dai.

Beh sono stato una persona umana, che ha sbagliato. Quello che sono adesso è una persona che ha accettato e trasformato gli sbagli che ha fatto. Ce l’avevo pronta la risposta! (ride). Di solito uno quando scrive le canzoni dice esattamente cosa è in quel momento, oppure scrive di un ricordo di ciò che è stato.

Tra l’altro, a proposito di scrivere le canzoni, ho letto in un’intervista che per te scrivere è come “mettere il cuore sul tavolo”: da autore, questo, quanto ti complica la vita?

Mah, complica la vita alle persone che mi stanno accanto più che altro! Però da autore è l’unico modo per me per farlo, non ci sarebbero altri modi, sarebbe una rottura di coglioni scrivere le canzoni se non fosse così… e non riuscirei neanche a scriverle fondamentalmente.

Trovi che sia difficile metterti a nudo?

Sicuramente è difficilissimo, ma anche per chi non scrive le canzoni, però ti dico: per me è l’unico modo per scrivere, capito? Per cui paradossalmente è il modo più facile per me per raccontare chi sono. Poi c’è anche chi si mette delle maschere e ci sta benissimo. Se lo facessi io, discograficamente non funzionerei, quindi non lo dico perché sono più ganzo degli altri, lo dico perché chiaramente è l’unico mio modo per farlo.

Foto di Francesca Zammillo

Chi è la persona che ha influenzato di più la stesura di questo disco?

La mia fidanzata (Carolina Crescentini, ndr). Anche laddove magari parlo di altre persone, lei ha comunque influenzato il mio lavoro in termini di vicinanza e squadra, nella coppia.

Cosa succede quando le fai sentire le tue bozze?

Cosa mi dice lei?

Si, qual è la situazione tipo?

Bhé, innanzitutto pretende che si capisca sempre cosa voglio dire, che è fondamentale. Poi lei ascolta molta più musica di me e mi dice che apprezza anche la musica.

Che ascolti avete in comune?

Radiohead, Lou Reed e De Gregori. Ultimamente stiamo ballando sulla colonna sonora di Pulp Fiction.

Che rapporto hai con i social network?

Guarda, lo dico sempre che le persone sensibili potrebbero capire molto di più della mia vita ascoltando bene le mie canzoni anziché andando a guardare i miei profili su Internet. Sono abbastanza punk con i social, metto sempre più o meno quello che mi pare: un giorno vedi me con la maschera da Batman, il giorno dopo la frase tristissima di una canzone, sono anche io abbastanza così, cangiante. Però lo percepisco sempre come un filtro, non come verità… per quanto uno ci possa mettere verità nell’uso dei social, questa è sempre condizionata da tanti fattori diversi. C’è da dire poi che quando vedi delle foto su Instagram le vedi sempre in funzione di altre foto su Instagram, quindi sei già condizionato da foto di altri, e già per quello capisci che la cosa è viziata.

Alla fine però c’è anche un lato positivo, cioè il fatto di creare un ponte e una vicinanza con il tuo pubblico, no?

Una vicinanza, si, sicuramente è un modo per essere più vicino ai fan. Io ero forse troppo piccolo però ricordo in qualche modo anche la magia di andare a vedere un gruppo e non sapere assolutamente niente di loro, né se avessero i capelli blu o rasati a zero (ride) e questo creava poi anche una magia nelle canzoni… insomma non so cosa sia meglio e cosa sia peggio. Io vivo in questi anni qui e cerco di trovare anche il modo più sincero anche per passare da questi mezzi.

Cosa consigli di ascoltare ad un fan che sta per venire ad un tuo concerto?

Invece io, di Riccardo Sinigallia

A proposito di Riccardo, come è stato lavorare senza di lui a questo disco?

Mah guarda è stata più una scelta sua che una scelta mia, però è stata l’ennesima sua scelta giusta perché alla fine sapeva che ero pronto a farcela anche senza di lui… anche se poi solo non sono stato. È stato bello anche lavorare senza di lui.

L’hai sentito comunque vicino, possiamo dire?

Si, certo, in qualche modo è in questo lavoro, per tutte le cose che mi ha insegnato, sicuramente. Ora capisco che nonostante quello che ha fatto, che è stato tantissimo, la cosa più bella fatta da Riccardo è stata quella di prendermi in un momento di solitudine. Quando ti senti da solo per molto tempo e poi invece accompagnato da una persona, rigenerato da quella persona, poi quella anche se non c’è, c’è in qualche modo.

Credi si fosse creata una sorta di dipendenza artistica tra voi, dato questo legame molto forte?

Non lo so, mi sono sempre sentito una persona con tanta voglia di cambiare idea ma… è davvero difficile farmela cambiare, quindi le persone che mi hanno fatto cambiare idea erano persone che davvero spaccavano il culo, e lui è stato uno dei pochi che ci è riuscito.

Qual è stato il momento più difficile di questi anni?

Quando è finito il gruppo, i Criminal Jockers.

Ti porti dietro tanto di quel percorso, durante il live di oggi?

Non so se è tanto, nel concreto è solo una canzone, per chi ci conosceva forse si, c’è molto di loro.

Il tuo live è molto forte e sentito: come lo vivi?

Mah, credo che dovrebbe essere sempre cosi. Una cosa che mi porto sempre dietro, fin da quando sono piccolo, è la disciplina verso la musica. È importante che ci siano musicisti davvero bravi.

Certo, specialmente nel mercato musicale attuale, in cui purtroppo questo non è così scontato.

Guarda per me la cosa importante è che nella musica ci sia scelta e la maturità di fare quello che vuoi fare, quindi anche la consapevolezza e la presunzione, se vuoi, di essere presente, anche nelle scelte. Le scelte le puoi fare nel momento in cui conosci. Io la musica un pochino la conosco, però allo stesso tempo non ci ho capito un cazzo! Ma ho capito che i musicisti che suonano con me, suonano bene.

Credi che questa democratizzazione musicale degli ultimi anni, se così vogliamo chiamarla, metta a repentaglio il vero talento?

Mah io ti potrei dire che è più un problema delle persone, alcuni giornalisti potrebbero dirti che invece è un problema del digitale.

Secondo me tra dieci anni ci sarà una sorta di selezione naturale tra chi fa un certo tipo di cose vere e chi non le fa. Secondo me, io ci sarò. E secondo me ci sarà pure la Dark Polo Gang, ti dirò. Io non me li ascolto, però secondo me ci saranno pure loro.

Ti sembrano autentici?

Assolutamente si.

A proposito del disco: parli tanto della paura di dimenticare, qual è la cosa che hai più paura di dimenticare?

Nel cervello non c’è uno spazio infinito, quindi per forza di cose ci si dimentica. Ho paura di dimenticarmi da dove vengo, perché ho iniziato a suonare, perché sono arrivato fino a qua. È chiaro che tutte queste immagini vengono selezionate col tempo, però insomma ho paura di dimenticare le cose importanti.

Due brani sono tratti da un hard disk che hai ritrovato, giusto? Possiamo intravedere in questo la volontà di portarsi dietro un pezzetto di sé, senza dimenticarsi?

Questo non lo so, diciamo che nel mio modo di lavorare ogni disco deve avere un racconto e un senso: come non erano pronte un certo tipo di canzoni prima, ora ci sono canzoni che non ho messo in questo nuovo disco. In realtà era lo strumentale di Per amore e basta che ho cercato di scrivere in tutti i modi in la fine dei vent’anni, però non ci sono mai riuscito a scrivere il testo… quello è un altro discorso, legato al mio modo di lavorare: avrei potuto mettere in questo disco pezzi più aggressivi come Roma stasera però non ci stavano, non facevano parte del racconto, stoppavano il racconto, era solo un modo per essere figo e di questo non me ne fregava assolutamente niente.

Possiamo dire quindi che hai corso un po’ un rischio?

Beh sì, per forza. Ho chiamato un disco vivere o morire, se non corro rischi io, è un bel casino! (Ride).

In radio abbiamo detto che Vivere o Morire è la tua scommessa: quale credi sia la tua scommessa oggi?

Essere pronto a stare da solo per cercare di stare con altre persone.

Hai un portafortuna quando sali sul palco? Sei scaramantico?

No, non sono scaramantico però… non si sa mai! (Ride). Porto da tantissimo tempo, da quando andai a dublino da piccolo, un’arpa al collo. Quella la tengo sempre, non perché porti fortuna ma perché non si sa mai… che non porti sfortuna se non ce l’ho! Poi abbiamo un rituale che facciamo sempre con i musicisti ma non te lo dirò mai!

No, dai! Neanche un indizio?

No, non posso dirtelo, altriementi non è più un rituale nostro. Posso dirti che è una cosa molto idiota (ride).

Foto di Giorgia Salerno

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di Giorgia Salerno