In occasione del secondo Deer Waves Party non abbiamo perso l’occasione di intervistare il nostro compatriota Porcelain Raft, il cui disco, relativamente recente, è recensito qui sulle nostre pagine.
Eravamo davvero molto carichi prima che l’intervista iniziasse ma nessuno si aspettava un discorso così: birra o meno, ci ha raccontato nel modo più estroverso e confidenziale possibile molte sue esperienze e tanti suoi pareri, senza mai sembrare arrogante o altezzoso.
Sei un fico Mauro.

DW: Allora Mauro, sei qui a Carpi, finalmente in Italia, il tuo paese. Come è nato questo fenomeno Porcelain Raft?

PR: Ma guarda, ho iniziato a suonare negli Stati Uniti un anno fa, sono andato al CMJ, e poi da lì è successo tutto. Subito dopo ho fatto dei tour in US con War On Drugs ed altre band, e da lì..

 

DW: In effetti sappiamo che farai presto un tour con Youth Lagoon.

PR: Torniamo in USA tra cinque giorni e faremo questa tournée di 3 settimane con Youth Lagoon, poi abbiamo degli show solisti, e poi ritorneremo di nuovo in Europa, con delle date che devono essere ancora confermate.

 

DW: Come mai il nome Porcelain Raft? 

PR: Stavo scrivendo delle parole che mi piacevano, e le combinavo insieme. Poi ho combinato porcelain e raft: raft suonava molto duro, porcelain invece è una cosa così fragile. Sono andato dal mio compagno di stanza di quando vivevo a Londra, che è praticamente un artista nonché un genio con i nomi, e gli ho chiesto cosa ne pensasse. Lui mi fa “Great, è una bella combinazione, ma non credi che una zattera fatta di porcellana non possa navigare, e quindi affonderebbe?”. Da lì ho capito che quello era il nome giusto, perché secondo me se sei una persona così cinica ovviamente questa zattera affonderà, però se non lo sei ti fa fare uno sforzo di fantasia e ti fa chiedere “Dov’è che questa zattera sta fluttuando?”. Ti spinge alla creatività, in una certa maniera l’avevo capito subito che potesse essere il nome giusto.

 

DW: In Italia ti si sta imparando a conoscere, dopo aver aperto gli M83 ora hai il tuo tour da solista. Come lo vedi il rapporto con i fan del tuo paese d’origine? 

PR: Guarda, ti dico una cosa: appena la mia etichetta (Secretly Canadian) mi ha proposto delle date italiane io ho pensato: “Ma no, fa niente. Lì sentono solo cose mainstream, tipo Adele. Poi quando mi hanno confermato gli show ero effettivamente contento, ho pensato che forse un’aria di cambiamento c’è. Adesso vengo qui e vedo dei ragazzi entusiasti della musica in generale, non di Porcelain Raft in particolare, e mi fa piacere vedere queste nuove generazioni completamente assorbite nello scoprire cose nuove. Peccato per il mio show di Milano (Magazzini Generali in apertura agli m83, ndr.), dove c’è stato questo problemino, mi hanno fatto suonare prestissimo quando un sacco di gente stava ancora entrando, assurdo, ci sono un po’ rimasto male ma ho apprezzato la gente che era lì ad ascoltarmi.

 

DW: Ma cos’è che non va in Italia secondo te? Come ti spieghi il fatto che c’è una pagina Wikipedia in inglese su di te e non in italiano? Hai per caso evaso il fisco? 

PR: Ma io non so chi fa queste pagine Wikipedia, io immagino che questo signor Wikipedia sia davvero impegnato che non ha avuto tempo di fare la pagina italiana per Porcelain Raft.

 

DW: La domanda è d’obbligo. Amatriciana o Double Whopper? 

PR: Ma chiaramente l’amatriciana. Guarda comunque la cosa bella di quando faccio le tournée negli Stati Uniti è che vai in tutte queste città fantastiche ma tanto distanti tra di loro, 6, 7 o 10 ore di viaggio al giorno, e quindi gli unici posti dove ti fermi sono posti dove prima c’erano i diners dove c’era questa old lady che ti veniva col frappé, cose un po’ alla Elvis Presley. Ora invece queste cose si son perse e ci sono infatti Burger King, McDonald’s, Starbucks, in questi mall in mezzo alle città che ti fanno sentire un po’ un no man’s land, blocchi d’acciaio spaventosi. Però c’è tanta cultura, anche se molto giovane rispetto alla nostra. È bello come la gente sia sempre aperta alle cose nuove, la curiosità, nessuno è interessato ad esempio nel sapere di dove io sia, la prima cosa che uno pensa di me non è riguardo alle mie origini ma è solo un “this is good”, senza preconcetti.

 

DW: Cosa che un po’ succede in italia invece.

PR: Parliamo di due paesi con differenze culturali incredibili, che non si possono paragonare. Hanno delle storie talmente diverse che ora qui in Italia penso all’America e la vedo in un modo, poi quando son lì capisco che tutto ha un suo senso, un suo perché. Mi fa piacere venire qui in Italia, vivermi le interviste, il rapporto con i fan e con ragazzi che veramente ci tengono in generale ad essere curiosi e ad avvicinarsi a questo mondo.

 

DW: Tornerai in Italia o il tuo amore per gli Usa è così grande da non potervi dividere più?

PR: Quel pensiero c’è quando te ne vai, hai bisogno di dire “basta, è finita, non ci torno più qui”, perché devi convincerti che non tornerai mai per affrontare appieno la nuova esperienza. Ma è un pensiero che ho avuto solo il primo anno, adesso non ci penso tanto, magari a 60 anni tornerò e farò un disco in italiano con un quartetto d’archi, perché no? Però l’idea ora è di viaggiare, scoprire, c’è tanto da vedere.

 

DW: Band preferite? o qualcosa che ti ha influito particolarmente?

PR: Sai, le influenze sono strane, le cose che ci influiscono sono quelle che meno ci aspettiamo. Delle volte capita che ascolti un disco per tante volte, poi vai a fare musica e ciò che ne esce fuori è qualcosa di completamente diverso. Magari entri in un centro commerciale e camminando ascolti un pezzo super pop che non riesci a toglierti dalla testa,secondo me le influenze non le decidiamo, arrivano così. È come se fossimo spugne che assorbono ciò che devono assorbire senza deciderlo. Comunque ci sono delle cose che ascolto spesso però non credo mi influenzino.

 

DW: Del tipo?

PR: Ultimamente sto ascoltando tanto l’ultimo disco di Grimes, che mi piace tantissimo. Lei è fantastica, un talento naturale. Molte donne fanno un grosso sforzo a mostrarsi e dire “io sono la number one”. Guarda anche MIA, a me lei piace, è bravissima, ma è come se ogni volta dovesse fare qualcosa di forzato per primeggiare. Grimes invece è semplicemente naturale, l’ho vista dal vivo 2 o 3 volte, è la nuova Kate Bush, farà tanti dischi. L’altro giorno invece sono andato a suonare a Torino e sono andato a sentire Grouper, anche lei canadese e anche lei molto brava. Musica molto sperimentale, fa dei loop con delle cassette, un concerto bellissimo.

 

DW: Parliamo di fighe, parliamo di Lana Del Rey allora. 

PR: Sembra che ognuno debba avere un’opinione su di lei. Ha fatto due brani bellissimo, Video Games e Born To Die, anche se la produzione lascia a desiderare. A volte io ascolto qualche canzone e mi immagino a suonarla, non mi interesso degli arrangiamenti ché poi quelli vanno via e ciò che resta è il brano. Pensa ad Elvis, Suspicious Mind, produzione zero. Quante versioni hai sentito di Love Me Tender? non ci pensi neanche più alla versione di Elvis, resta il brano in sé. Quindi Video Games è uno dei brani più belli che ho sentito, l’altro anche, il disco è terribile, non andrò a vederla dal vivo e non comprerò il disco, ma se mi chiedi che ne penso, questo è.

 

DW: Anche perché è un disco che lascia poco.

PR: Non credo che la sua intenzione fosse quella di lasciare qualcosa in particolare. Secondo me lei voleva soltanto una certa impressione, lasciare una traccia di sé, entrare in scena. Da songwriter non so neanche se è stata lei a scrivere i testi, ma manco mi importa. Sento due brani e dico “cavolo, è fantastico”, poi vedo le sue apparizioni dal vivo e sono terribili, penso all’album ed è orribile. Due canzoni, non mi interessa tanto altro.

 

DW: È un po’ una banalità, ma sembra che ormai l’obiettivo di tanti artisti oggi è arrivare nel momento giusto a fare il singolo giusto, poi magari tutto il resto che fai fa schifo. Poi oggi con tutta l’influenza dei social network è ancora più importante. Come programmi o imposti la tua carriera non frega a nessuno, però se il singolo funziona in quel determinato periodo..

PR: Hai detto una parola fondamentale, carriera. Molti artisti che puntano a questa sorta di apparizione lampo poi non li senti più, fanno un album. Hai mai più sentito parlare di Little Boots? Il suo nome era una delle parole più pronunciate in Gran Bretagna due anni fa, era su tutte le pagine di tutti i magazine, l’album è stato un flop, poi ne ha fatto un altro, ed è scomparsa. Ci sono queste eruzioni di questi personaggi con le loro etichette, ma ci saranno sempre come ci son state in passato anche nella musica classica. Anzi, a volte molti artisti si buttano nel precipizio da soli. Magari sparirà anche Lana Del Rey.

 

DW:Chiudiamo con un must di Deer Waves, puoi sempre insultare chi vuoi, come ci divertiamo a fare noi con i Kasabian o con Vivo Concerti che ce li porta sempre in Italia. 

PR: Ma è un cancro sta roba, ma che vogliono? Vogliono una birra? Diamogli una birra. Basta. Guardassero qualche puntata di Friends, non rompessero. Vogliono soldi per non fare più dischi? Allora vi propongo una cosa: mettiamo su un fondo, una colletta, apriamo ‘sto conto per far stoppare i Kasabian a fare dischi di merda. Gli diamo ‘sti soldi e loro si fermano. Se raggiungiamo la somma che ci chiedono glielo proponiamo così: Kasabian, guarda, c’è un sacco di gente a cui avete veramente rotto i coglioni. È chiaro che gruppi così hanno un grande budget, ma son sicuro che tanta gente, e non solo in italia, in tutto il mondo, ci starebbe. Io pagherei subito, fermiamoli!