Questa non è solo una semplice intervista, ma una storia: è la leggenda di Colapesce, nato in Sicilia, con la passione per il mare, che era tutta la sua vita: esplorare i fondali colorati e immensi lo rendeva più libero e vivo, ma questa sua passione non era ben vista dalla madre, perché spesso Colapesce ributtava il pescato al mare.

Per questo, un giorno, lo maledisse: “che tu possa diventare come un pesce!”.

Come per magia, con il passare del tempo, la sua pelle divenne squamosa, le mani e i piedi simili a delle pinne. La sua fama si diffuse in tutta la Sicilia, raggiungendo la corte dell’Imperatore Federico II di Svevia, che volle conoscerlo per mettere alla prova le sue abilità di nuotatore e conoscitore delle acque. Dapprima buttò una coppa nel mare e Colapesce riuscì a portarla a galla. Poi la sua corona, e per recuperarla il ragazzo nuotò talmente in profondità da vedere che la Sicilia poggiava su tre colonne: due erano intatte mentre la terza era consumata da un fuoco che ardeva tra Catania e Messina. Tornato in superficie, il giovane racconto ciò che aveva visto all’Imperatore che però non gli credette, sfidandolo a portargli una prova di quel fuoco. Colapesce tornò sul fondale ma dalle acque riemerse solo il pezzo di legno, bruciato, che aveva portato con sé per dare prova dell’incendio: il ragazzo non tornò mai più in superficie, rimase in mare nel mezzo di quel fuoco a sorreggere quella colonna mal combinata perché la sua terra tanto amata non crolli.

È lì ancora oggi, e se ogni tanto la terra tra Messina e Catania trema un po’, è solamente perché Colapesce cambia un po’ posizione.

Foto di @futuraclasse1993

Credo questa storia racchiuda moltissimo della filosofia e della meraviglia con cui è stata fatta l’intervista a Lorenzo Urciullo (in arte Colapesce) in occasione del suo concerto al Biografilm Park di Bologna che ha seguito quello meraviglioso al MI AMI Festival di Milano sul palco Havaianas, dove sono stata insieme a Francesca per la prima tappa del nostro Futura On Tour.
Futura è un format radio itinerante che ci permette di creare moltissimi contenuti per promuovere artisti e festival, ma non solo, ci da’ anche la possibilità di conoscere persone incredibili come Lorenzo, in cui abbiamo scoperto un rispetto e una passione per il suo lavoro che non hanno eguali.
Un concerto emozionante e fuori dal comune, una performance che porta con sé tra i più disparati ingredienti che, non si sa come, insieme funzionano alla grande: la sacralità di un momento come il rito della comunione nella chiesa cattolica, l’esplosione dei ritornelli pop di Totale e Ti attraverso, la tunica da sacerdote e il giubbotto di pelle con il fulmine a led sulla schiena come le più dirompenti tra le rockstar. Che piaccia o meno, Colapesce riesce a creare una reazione: piacere, indignazione, stupore, sconcerto, attenzione… e così facendo, lasciando da parte ogni etichetta di genere, si trasforma in arte. L’arte cruda, che non dev’essere bella e non dev’essere brutta, deve farti provare qualcosa.

Innanzitutto voglio chiederti: com’è suonare a Bologna? Che rapporto hai con questa città?

Guarda, è sempre bello suonare a Bologna. L’ultima volta abbiamo suonato all’Antoniano, che è un teatro molto bello secondo me. Ovviamente la dimensione teatrale è completamente diversa perché c’è anche un’attenzione altissima.

Che differenza noti con il pubblico tra appunto la dimensione teatrale e quella invece più tradizionale di un live come quello di stasera?

In quella teatrale le persone sono molto attente a tutto quello che accade, anche lo spettacolo e l’interazione sono completamente diversi perché c’è il silenzio, ci sono le pause. La gente viene apposta, è seduta, insomma è più composto come live. Non avevo mai suonato qui al Cavaticcio che comunque è un bellissimo posto. A me piace molto la dimensione teatrale.

Preferisci forse quella quindi?

Su alcune cose si, per esempio la scaletta live all’aperto è completamente diversa rispetto alla teatrale che invece magari vai a sottolineare delle sfumature più acustiche e più musicali che dal vivo, all’aperto, si perdono. Invece al teatro è tutto molto intimo e raccolto. Però avevo già fatto un tour teatrale due anni fa solo chitarra e voce e quella è forse una delle dimensioni che preferisco perché si crea un rapporto speciale con il pubblico.

Sappiamo che a gennaio 2019 tu e il teatro vi incrocerete di nuovo, nel senso che le tue musiche saranno da accompagnamento ad un’opera teatrale, giusto?

Si, si l’opera si chiama “Stanno tutti male”, la stiamo scrivendo insieme. Io sto scrivendo anche la parte testuale, non solo quella musicale. Sarà molto divertente e niente, non vi posso svelare troppo perché altrimenti spoileriamo troppo.

Ok, ma sappiamo anche che tutto nasce da una raccolta di sfoghi. Questo puoi confermarlo?

Si, l’idea è quella di raccogliere materiale anche dal pubblico, dalle persone, da qui fino ad ottobre-novembre, per assorbire il malessere.

A proposito di questo, in Totale dici “torneremo felici, torneremo felici”: è una cosa abbastanza ricorrente questo sfogo, questa empatia.

Sì, spesso nei miei testi ci sono dei riferimenti al malessere della società. Questo spettacolo prende un po’ spunto anche da Watzlawick, che ha scritto dei libri sull’argomento molto belli. Ce ne sono un paio, uno in particolare che si chiama “Istruzioni per rendersi infelici”, molto bello perché è ironico però in realtà è un’analisi lucidissima della società, sui disagi. Un altro si chiama “Di bene in peggio”.

Foto di Giorgia Salerno

A proposito di riferimenti letterari, il tuo nome d’arte è legato ad una leggenda. Di questa leggenda abbiamo letto tantissime versioni diverse, qual è la tua?

Ce ne sono circa una ventina. Non ne ho una particolare in realtà, poi conoscendole tutte assorbi un po’ l’essenza del mito. Ovviamente ci vedi anche delle cose che all’interno delle versioni non ci sono. Ad esempio ho fatto delle ricerche e c’è una base addirittura greca della leggenda (che è un po’ da nerd) trovata in un libro siciliano dove c’è questa figura mitologica che ha delle caratteristiche simili ai pesci, quindi riesce a stare sott’acqua ed è il padre delle sirene. Viene quindi da lì un po’ il mito che si è tramandato poi intorno al 1400 con Federico II di Sveva. Diciamo che ha preso da lì la sua forma, quella che oggi è la leggenda più classica. Poi l’ha ripresa anche Calvino in “Fiabe Italiane”, però devo dire che quella di Calvino secondo me è una bestemmia. Calvino è il mio scrittore preferito, però è quella che mi piace di meno. L’intento di “Fiabe Italiane” era un po’ quello di raccogliere più materiale possibile e quindi anche sintetizzare.

Quindi se dovessimo racchiudere in una frase il motivo per cui hai deciso di chiamarti “Colapesce”?

Guarda, sono due i principali. Uno l’idea di sacrificio che ci sta dietro alla leggenda, cioè sacrificare, nel caso di Colapesce, la propria vita per l’amore per qualcosa di più grande che nel suo caso è la Sicilia, nel mio caso mi piaceva l’idea della musica, però ovviamente è tutto metaforico. E la seconda è perché la lego a mia madre. Mia madre da piccolo spesso mi raccontava la leggenda di Colapesce.

Bello, molto. A proposito del disco: “Infedele” è pieno di simbolismi legati alla sacralità. Credi che il fatto di distribuire l’ostia durante il live sia una provocazione? È un gesto comunque molto forte, a cosa lo leghi?

Mi piace sempre un po’ giocare con il simbolismo, in generale anche nei videoclip, c’è sempre. Mi piace quando in qualche modo le cose che faccio, le cose che scrivo, suscitano una reazione che ti pone una domanda. Non sei semplicemente un ascoltatore passivo che viene a fare il karaoke oppure a vedere solo la superficie della cosa. L’aspirazione massima per me è in qualche modo quella di porre una riflessione all’ascoltatore, sia a livello visivo che a livello musicale. Anche il mio modo di scrivere è molto “tridimensionale”, come lo definisco io. Mi piace utilizzare il tridimensionale perché in qualche modo hai sempre una doppia, tripla visione, puoi esplorare l’interno del testo. Invece spesso la musica italiana è bidimensionale, ovvero dice una cosa e quella è, cioè “andiamo in piazza e ci mangiamo un gelato – ti voglio bene, saluti e baci”diciamo che hai un’immagine chiara. Non la sto criticando però io ho un altro modo di approccio alla scrittura che è quello di avere più strade che magari ti rimandano ad altri testi o ad un altro immaginario. Non prendo mai giudizi all’interno delle canzoni anche se ovviamente poi se vai ad analizzare bene si capisce quello che penso.

Cosa pensi della censura? Credi che a volte sia necessaria o è semplicemente d’ostacolo? Mi riferisco ovviamente al tuo ultimo video che è stato censurato Crediamo che quasi ti abbiano “fatto un piacere”, nel senso che censurandoti il messaggio a noi ascoltatori è arrivato più velocemente, paradossalmente.

La roba della censura l’ho vissuta un po’ male perché in generale il concetto di censura mi rimanda subito ad altre cose più gravi che storicamente non hanno mai fatto bene a nessuno, quindi in quest’ultimo caso mi è sembrata idiota per due motivi: uno, intanto non è stato censurato non per le armi, non per il sangue, non per la violenza, ma alla fine lo hanno detto in maniera velata censurato (e lo hanno scritto proprio loro in privato) per quella roba lì che sconvolge ancora di più, ovvero un bacio fra due uomini.
Nel rapporto sessuale per esempio, quando l’ho pensato insieme al regista, in realtà non c’era l’idea “vogliamo per forza scandalizzare qualcuno a tutti i costi”. Nasce da una riflessione legata al fatto che nel cinema, in tv, nelle serie tv o in generale anche nei video non ci sono mai rapporti sessuali espliciti fra uomini. A stento c’è un bacio e ancora c’è un tabù veramente profondo su sta cosa e secondo me è allucinante. Scene di sesso eterosessuali ne vedi tutti i giorni, scene di sesso lesbo ancora ancora e La vita di Adele è un esempio che comunque è stato stra-criticato. Scene di sesso omosessuali tra uomini, a parte Brokeback Mountain dove si vede una scena molto bella, sono quasi inesistenti.

Quindi comunque hai voluto sdoganare anche questo.

Un po’ si, pur sapendo che ovviamente non è una cosa molto catchy (ride).

Insomma hai corso anche un rischio, no? Non scegliendo un soggetto comune per il tuo video, intendo. Con un album così incredibilmente pop per certi versi, avresti potuto avere la strada davvero facile per quel che riguarda i videoclip.

A me non interessa, il mio obiettivo è poi quello. Ci provo eh, spesso arriva, spesso non arriva, il riuscire a porre una riflessione. Lo so che se avessi messo una bella figa per 3 minuti e 50 avrei fatto 3 milioni di views, però in qualche modo non mi interessa, anche perché spesso oggi la cultura, che non è cultura, è legata alla numerica, cioè alla percezione che più una cosa è vista più è figa. Questa roba qui è davvero inquietante: è la logica che stanno attuando un po’ in tutti i campi se ci pensi, non solo sui video, ma anche su Spotify o AppleMusic, insomma la logica delle playlist. Ovviamente la numerica è in mano ai ragazzini, oggi, principalmente, e quindi il gusto e gli investimenti maggiori che fanno gli editori li mettono su prodotti editoriali anche scarsi che però fanno i numeri e quindi investono lì. Credo che questa cosa sia veramente pericolosa… io poi esagero a volte eh, però c’è qualcosa del fascismo come retro-pensiero. Cioè tu vai ad agire su un determinato pensiero, poi io da fruitore stesso vedo le stronzate, però se ci pensi in realtà… insomma ormai si parla delle stronzate, la cultura in qualche modo è una nicchia sempre più stretta che rischia di rimanere in qualche modo relegata a dei piccoli numeri e all’università, ai circoli. Quando c’è una proposta nuova poi è sempre un: “ah, che palle”. E quindi c’è un po’ questa situazione, che mi angoscia tantissimo.

Quindi credi che artista questa cosa ti demolisca?

Allora, all’inizio mi generava anche frustrazione perché volevo anche un po’, quanto meno sulle mie cose, cercare di confrontarmi con gli altri prodotti culturali, quindi dicevo “ok, minchia, perché questa merda va e questa cosa no?”. Però poi ho capito una cosa, in realtà il pubblico. Lavorare su questa cosa ti permette una longevità che per molti artisti è un lusso che non si possono permettere superati i 2-3 anni, invece io sono in attività da più di 10, sia come produttore che come Colapesce. Lavorare in una certa direzione in qualche modo ti permette di avere una riserva che ti porti dietro e… sei fedele, tornando al gioco di parole (ride).

Ultimissima domanda, ci consigli un pezzo da ascoltare e mandare in radio?

Mmm…

di Giorgia Salerno