UE

Niente paura, non troverete in queste righe analisi di mercato né immaginari scenari politico-diplomatici che si aprirebbero in caso di Brexit. Forse vi starete chiedendo perché ne parliamo su Deer Waves, che notoriamente non è una webzine di politica internazionale.

Il perché è contenuto in una lettera: una lettera che l’intero panorama artistico d’oltremanica ha voluto a tutti i costi, per ribadire che “leave” non è la risposta giusta, che il Regno Unito ha bisogno dell’Unione Europea, e viceversa. L’hanno firmata in più di trecento tra musicisti, autori, produttori e CEO di case discografiche, tanto major quanto indipendenti: Alt-J, Editors, Franz Ferdinand, Bombay Bicycle Club, Jarvis Cocker, Metronomy, Paloma Faith, ma anche Emily Eavis, una delle organizzatrici di Glastonbury, David Joseph, amministratore delegato della Universal Music UK e Geoff Travis, fondatore della Rough Trade.

È di pochi giorni fa anche il lungo post di Brian Eno a favore del “remain”:

“L’UE è stata in grado di portare avanti programmi innovativi di sviluppo sociale e ambientale e, nonostante possa sicuramente far meglio in questi settori, ha bisogno del nostro supporto.”

Gruff Rhys dei Super Furry Animals ha perfino pubblicato una canzone d’amore dal titolo inequivocabile: I love EU. Gli XX hanno dichiarato espressamente che voteranno tutti e tre “remain”:

“Crediamo nella collaborazione e pensiamo di poter ottenere di più lavorando insieme sia come continente che come popolo.”

Johnny Marr ha comparato la campagna per l’uscita dall’UE di Farage a quella nazista, in un tweet diventato immediatamente virale.

E ancora The Horrors, Mark Ronson e Jamie XX, che proprio ieri ha scritto:

“Sono stato abbastanza fortunato da poter viaggiare e suonare in tutta Europa, toccando con mano le differenze e gli aspetti che invece ci accomunano. Siamo tutti esseri umani e affrontiamo tutti gli stessi problemi. Credo che saremo in grado di risolverli meglio insieme.”

Insomma, il mondo della musica è – quasi senza eccezioni – compatto, e noi ci siamo chiesti il perché. Immaginiamo di svegliarci, la mattina del 24 giugno, e sapere dai tg che gli inglesi hanno votato in maggioranza “leave the Union”. Cosa accadrebbe all’industria musicale britannica? Quali sarebbero le conseguenze per gli artisti e le case discografiche? E per noi consumatori, noi “generazione dell’Erasmus, dell’interrail, delle vacanze nelle capitale europee”, noi che non abbiamo bisogno di visti per viaggiare né di dazi per commerciare?

Gennaro Castaldo, portavoce della BPI (British Recorded Music Industry) non ha dubbi: “touring, promozione, copyright, produzione, industria discografica, saremo colpiti tutti”.

Tour, quanto mi costi?

passports

Unione Europea significa piena libertà di circolazione sul territorio UE.

Immaginiamo un Regno Unito ormai fuori dall’Unione e una band britannica che debba imbarcarsi in un tour europeo. No, affittare un van non le basterà più. Ora, ogni membro dovrà ottenere un visto di ingresso nel paese in cui intende suonare e un documento che attesti tutti gli strumenti che porta con sé (per evitare l’import/export di prodotti senza pagare l’IVA). Un visto costa in media 1000-2000 sterline, ma dura solo 12 mesi.

Che significa? Significa che, se siete i Coldplay, non avrete di certo problemi, ma se siete una band emergente, auguri.

“Ottenere un visto è un processo lungo e costoso ed è la ragione per cui molte band non vanno in tour in America. Anche per il Giappone, dove i visti si ottengono abbastanza facilmente, rimane il problema dei tempi lunghi e dei costi elevati. Arriveremo al punto in cui dovremo finanziare le band inglesi per andare in tour in Europa? Che prospettiva orribile. Non solo ne soffriranno i nostri artisti – soprattutto indipendenti – ma anche tante piccole band meritevoli che non riusciranno per lo stesso motivo a venire in UK” – parola di Colin Roberts della Big Life Management.

Insomma, le piccole band ed etichette potrebbero, nel medio-lungo periodo, ridursi, dando ancor più potere alle major e agli artisti mainstream. Keith McIvor, dj scozzese a capo della label indipendente Optimo Music, ha poche speranze:

“Sono fortunato perchè, grazie alle mie serate come DJ, riesco a finanziare e gestire la mia etichetta discografica. Con la Brexit, però, non sarà così semplice. La maggior parte delle serate le faccio in Europa e dovrò procurarmi dei visti per ogni paese europeo in cui vorrò andare. L’anno scorso ho suonato in 17 paesi UE, quindi il costo (e il tempo) potenziale per ottenere tutti questi visti sarà enorme. Le conseguenze? Temo che possa scoraggiare i promoter europei a scegliermi e magari impedirmi di portare altri artisti qui in UK.”

Vinylmania addio

British Prime Minister David Cameron attends 'Stronger In' campaign event

Anche la musica, fatevene una ragione, si è piegata alla delocalizzazione.

Oggi, i più importanti impianti di fabbricazione di dischi e vinili, ma anche i materiali essenziali per la produzione di LP, si trovano in Europa orientale. Finora, il Regno Unito vi ha attinto a piene mani, a basso costo e senza lungaggini burocratiche.

Prendiamo il caso di Patrick Ryder, manager di Piccadilly Records, il principale negozio di dischi di Manchester:

“Se il Regno Unito lascia l’UE, la prima conseguenza per noi sarà un aumento dei prezzi. I vinili dei produttori e dei distributori europei aumenteranno di prezzo per l’aggiunta delle tariffe di esportazione. Se pensi che la maggior parte dei vinili  distribuiti da aziende inglesi sono fatti in Francia o in Repubblica Ceca, allora è chiaro che la Brexit cambierà tutto. Potrebbe avere un effetto negativo anche per i nostri clienti europei, che avrebbero nuove tasse di importazione da pagare per farsi arrivare i loro pacchi e per molti il costo risulterebbe proibitivo, un po’ come accade oggi per i clienti norvegesi”.

Non un quadro particolarmente incoraggiante.

Che ne sarebbe allora della domanda di vinili, oggi in crescita costante? Obbligati i consumatori a “stringere la cinghia“, probabilmente precipiterebbe.

piccadilly

Oggi si vota, è vero, ma oggi è anche il giorno dopo l’apertura ufficiale dei cancelli di Glastonbury, il giorno in cui quasi tutti sono arrivati ormai a Worthy Farm.

Sembra quasi che questo referendum, con la musica, abbia un legame tutto particolare. Il risultato del voto lo si saprà solo domani, probabilmente in concomitanza con le prime performance al Pyramid Stage. Nonostante le tantissime richieste, niente cabine elettorali all’interno del festival: ogni cittadino dovrà votare nella propria circoscrizione.

La nostra unica speranza, britons, è che scegliate bene.

Coraggio, in fondo lo cantavano anche i Beatles: all together now.