Il 16 giugno 1986 Rough Trade pubblicava il terzo album di una delle band più importanti degli anni ’80 e della storia della musica pop: The Smiths. Oggi quello che da molti viene considerato il capolavoro della band di Manchester compie 30 anni, ma la sua eredità musicale e culturale è tutt’oggi più che viva: su entrambi i fronti, The Queen Is Dead ha prima ritratto e poi finito per diventare il simbolo degli anni ’80, partendo dalla Gran Bretagna thatcheriana per arrivare al cinismo post-romantico figlio dei suoi tempi dei testi di Morrissey, passando per la perfetta armonia strumentale con cui gli Smiths hanno saputo creare un disco pop che è anche complicato ed innovativo.

Questa è forse la cosa che più colpisce di The Queen Is Dead, e che forse ha contribuito a renderlo un successo istantaneo: la chitarra di Johnny Marr che sa essere dannatamente orecchiabile e i testi taglienti, politici e spesso oscuri di Morrissey si intrecciano perfettamente regalando spessore gli uni agli altri. Soprattutto, il successo di The Queen Is Dead dimostra che pop e complessità, orecchiabile ed intelligente non si escludono a vicenda. Ed è così che nasce un fenomeno musicale e culturale.

La traccia eponima che apre l’album è il manifesto politico di The Queen Is Dead, una critica sagace del sistema politico ed istituzionale britannico di quei tempi, e la soluzione è netta:

Farewell to this land’s cheerless marches
Hemmed in like a boar between arches
Her very Lowness with her head in a sling
I’m truly sorry but it sounds like a wonderful thing

E non si poteva che partire da un taglio netto per creare un capolavoro.

The Queen Is Dead, prima di diventare influente, era già di per sé ricco di riferimenti, soprattutto letterari, e per gli Smiths non era una novità, viste le accuse di plagio ricevute da Morrissey; la risposta alla critica? Citare Oscar Wilde. Non a caso sulla copertina del primo singolo estratto dal disco, Bigmouth Strikes Again, compariva la sua famosa frase “Talent borrows, genius steals”.

Quel che è successo dopo gli Smiths – e dopo The Queen Is Dead in particolare – è Storia, e lo ritroviamo un po’ ovunque nel panorama musicale. Tutto il brit-pop deve molto agli Smiths, primi fra tutti i Blur, che hanno lavorato con il loro stesso produttore, Stephen Street. Un’altra band che deve molto al quartetto di Manchester sono i Belle and Sebastian: una delle loro canzoni (The Boy with the Arab Strap) è un chiaro richiamo a The Boy with the Torn in His Side – di cui, tra l’altro, hanno fatto anche una cover:

E di cover ce ne sono moltissime. Da Bigmouth Strikes Again dei Placebo:

Passando per la bellissima versione di I Know It’s Over di Jeff Buckley, tratta dalla raccolta di inediti You and I uscita qualche mese fa:

Per finire con una chicca, che è questa versione rivisitata di There Is a Light that Never Goes out:

Proprio a proposito di There Is a Light that Never Goes out, non possiamo scordarci di annoverare 500 Days of Summer nell’eredità del fenomeno pop, e soprattutto la scena dell’ascensore:

Al di là della musica in sé, e soprattutto con l’avvento dell’internet, il fenomeno pop è cresciuto ancora di più: non parliamo solo delle magliette che vediamo in giro (secondo un sondaggio di BBC Radio 6 quella di The Queen Is Dead è tra le più popolari), ma anche delle rivisitazioni in forma di meme o fumetto.

Crossover The Queen Is Dead e Pokémon? Certo (dalla pagina Facebook Pokécovers)

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The Queen Is Dead e Morrissey colletto bianco? Ovvio (di Brian Brooks)

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E poi c’è uno dei miei blog preferiti: This Charming Charlie

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Dalla musica al cinema ai lati più oscuri dell’internet, gli Smiths e The Queen Is Dead sono un po’ onnipresenti, segno palese della grande importanza che il disco ha avuto durante questi trent’anni. Noi gli auguriamo di continuare ad invecchiare così dannatamente bene come ha fatto finora.

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