Uno dei casi più hyppati del 2k12, nelle playlist degli hipster più pro già dalla scorsa estate. I Purity Ring si consacrano definitivamente con il loro debutto sulla lunga distanza, Shrines. Una conferma di quanto ci hanno saputo regalare a sprazzi nell’ultimo anno con i cinque pezz(on)i usciti di tanto in tanto ad anticpiare l’album: chillwave e witch house cristallizzate in un electro pop ora giocoso ora spettrale, con incursioni ritmiche post dubstep e un cantato alieno sospeso tra dream pop e semplice e puro pop, che gioca su emozioni soffuse intensificandole con stranianti melodie elettroniche.

L’album inizia quasi timidamente con Crawlersout, buonissimo pezzo che però sembra quasi voler nascondere le vere potenzialità del gruppo, palesate subito dopo con due bombette: la meravigliosa Fineshrine (e già possiamo avvertire che siamo in uno dei migliori momenti del 2012) e la già conosciuta e sempre amabile Unghirted, che nel contesto dell’album acquista nuova e ulteriore bellezza. Segue Amenamy, altro pezzo notevole che soffre però la vicinanza con i due gioielli precedenti. Grandloves a primo impatto è un pezzo riempitivo ma poi la grande sorpresa: gli Young Magic. Sì, la strofa di Grandlove è la stessa di You And Air degli Young Magic, cantata dal tipo degli Young Magic. Non ho capito ancora che c’azzecchino i Purity Ring con gli Young Magic ma è stato uno dei momenti più musicalmente gasanti del mese. Segue Cartographist, che, pur essendo parecchio carina, risulta immancabilmente il pezzo più debole dell’album.
Ma niente paura, da qui è tutto in salita: è il turno di Belispeak, rimasterizzata per l’occasione in una veste ancora più figa, come se prima non fosse già sufficientemente una bombetta; Saltskin è un altro punto messo a segno; Obedear è sempre oscura e avvolgente come ce la ricordavamo; Lofticries è Lofticries, uno dei pezzoni dell’anno già dall’anno scorso. Chiude la sciamanica Shuck, forse l’unica che evade dalla potente omogeneità dell’album. Ed è proprio questo alla fine il punto forte di Shrines: l’omogeneità, portata aventi fieramente senza mai scadere nella noia e nella ripetizione, creando una coesione totale tra tutti i pezzi del disco che (a parte giusto un paio) godono comunque di una dignità propria al di fuori del contesto dell’album.

Quello che sto cercando di dirvi attraverso numerosi giri di parole è: mettete un cazzo di pezzo qualsiasi di ‘sto cazzo di album in una cazzo di compliation qualsiasi e godrete della cazzo di stima dei vostri cazzo di fratelli.
Che Shrines sarebbe stato un album della madonna lo sapevamo tutti, dai.