Questa è la scia da seguire per l’elettronica che conta oggi: la deep house. Oscura, sotterranea, quasi intima, ma pur sempre house. Potete tenervi alla larga quanto volete, ma prima o poi arriva l’album che vi conquista e vi fa aprire gli occhi. Il disco più adatto a mettere queste carte in tavola è ƒin, il debutto del misterioso spagnolo John Talabot (non sì sanno nè nome, nè generalità, nè numero di telefono… bella storia), che ha saputo creare, su base house ma apertissima a tutte le influenze possibili, un album che possiamo già considerare una pietra miliare dell’elettronica degli anni Dieci.

La magia di ƒin parla da sola: atmosfere oscure dotate di una luce interiore che partendo dalla musica da club arrivano a toccare la nu disco più luminosa ma anche l’ambient più sotterranea, mentre house e techno fanno da elegantissimi padroni di casa.

I tre pezzi cantati (Destiny, Journeys e So Will Be Now…) sono piccole gemme quasi pop da portare nelle orecchie e nel cuore, in particolare Journeys (con alla voce Ekhi dei Delorean), che è il sole di mezzogiorno nella giornata buia di ƒin ed è sicuramente la strada più corta per arrivare a farsi conquistare subito dal suono di Talabot (insieme alle sorelline Oro Y Sangre ed Estiu, che pescano a piene mani dalla glo-fi/chillwave), che comunque strega dal primo secondo con la coinvolgente/sconvolgente e buissima Depak Ine: inizia l’album col botto, ti succhia nelle tenebre per poi sputarti fuori alla fine di So Will Be Now….